Quale sarà la reale portata degli effetti psicologici di quello che ci è successo in questi ultimi due mesi lo sapremo solo tra qualche tempo, quando potremo avere nuovi e più precisi dati statistici sui quali lavorare. Per adesso dunque ci muoviamo nel mare magno delle speculazioni, delle proiezioni, una sorta di exit poll della psicopatologia che sarà. Da parte mia voglio azzardare, non senza cognizione di causa, alcuni degli eventi che potremmo riscontrare nei prossimi mesi.
1. Non siamo migliorati (e non miglioreremo). Che sessanta giorni di isolamento non avrebbero giovato alle nostre caratteristiche caratteriali e psicologiche era chiaro fin dall’inizio. Chiunque ripetesse questo auspicio lo faceva o con intento naïf o con la volontà di mentire per addolcire la pillola di noi tutti reclusi. Pensare che da una catastrofe come quella che abbiamo vissuto sarebbe potuto nascere una umanità più illuminata non ha basi né storiche né psicologiche. Basti pensare che nel medioevo durante le epidemie di peste non erano rari gli episodi di cannibalismo e che, ancora oggi per punire i carcerati più indisciplinati si ricorre all’isolamento come al castigo più temuto. Quindi, al più (ma ne dubito) ne usciremo uguali a come ci siamo entrati, più facilmente invece torneremo alla libertà incattiviti dalle sofferenze e dalle paure patite.
2. Ci sarà un picco di divorzi. Questo è già successo a Wuhan e con molta probabilità accadrà anche da noi. Tenere sotto lo stesso tetto per un periodo così lungo due coniugi (o conviventi) non è una cosa che può in alcun modo giovare alla coppia stessa; vuoi per l’ovvio effetto “saturazione” vuoi perché, privati entrambe di qualunque possibile valvola di sfogo, siamo stati costretti a riversare in casa tutto quello che ci ha albergato nella mente. In più la sfera sessuale ha anch’essa, nella maggior parte dei casi, subito un duro contraccolpo, mancando l’attesa, la cura di sé prima dell’incontro, quel minimo di mistero e di pudore che deve sopravvivere in ogni rapporto di coppia (almeno se vogliamo che duri).
3. Duecentotrentatre decreti senza bambini. Ecco, i bambini sono la vera e più inquietante incognita di tutta questa situazione, dire che sono stati dimenticati dallo Stato è dire poco, di loro non hanno mai parlato, quello che hanno fatto è stato chiudere le scuole, privarli dell’istruzione e (soprattutto) della socialità e bon. Voglio ancora una volta ricordare che per i minori la socialità non è solo divertimento e chiacchiere, per i bambini la socialità è formazione e crescita, è confronto, paragone e acquisizione di mezzi e di strumenti nuovi. Abbiamo assistito in questi due mesi ad una eradicazione del concetto stesso di educazione, molti genitori dopo aver inventato tutto quello che potevano inventare si sono trovati costretti a gettare la spugna ed accendere la TV. Quello che posso prevedere è che molti di loro si troveranno a settembre con molti mesi da recuperare (molti di più di quelli effettivamente persi) sia a livello didattico che a livello sociale, ed ancora una volta, saranno le famiglie a doversi fare carico di tutto il quello che occorrerà per fare in modo che i loro figli tornino almeno a livello pre-Covid.
4. Aumenteranno i disturbi psicologici in genere. Anche questo lo sappiamo già sia guardando a quello che è già successo in Cina sia per la ricerca che l’Ordine Nazionale degli Psicologi ha commissionato e i cui primi risultati già confermano questa facile previsione. Eppure dei 55 miliardi che lo stato ha stanziato per il futuro rafforzamento della sanità in Italia non un singolo euro è stato stanziato per il sostegno e la cura psicologica. Quasi come se il corpo e la mente fossero due entità così distinte da poterne bellamente ignorare una.
5. Non ci sarà più nessuno ad elargire abbracci gratis. Tutto quello che sarà dovremmo conquistarlo di nuovo con le unghie e con i denti. Il cosiddetto “ritorno alla normalità” non sarà un processo passivo, non basterà aspettare ma dovremmo tutti impegnarci per combattere le paure ed i fantasmi che ormai sono entrati a far parte del nostro quotidiano. Sarà solo grazie ad un enorme sforzo individuale che torneremo ad avvertire e soprattutto vivere il senso di comunità che questo evento ha frantumato.
Ciò detto non voglio e non posso concludere senza un messaggio di speranza, la speranza che molti abbiano potuto far tesoro di tutta questa vicenda, avendo almeno dedicato un pensiero alla caducità della vita e all’impermanenza che tutto avvolge e tutto crea e distrugge. C’è (e c’è sempre stato) solo il presente. Le angosce del futuro, così come i rimpianti del passato, trasformano la nostra vita in un eterno sovrappensiero; aver toccato con mano la fragilità dell’esistere può essere stata una buona occasione per aprire gli occhi nel qui ed ora e finalmente vivere nella pienezza del momento.
(mio articolo tratto da www.targettopli.com)